Il Sistema Metabolico Bruni (BMS) è il risultato di oltre 10 anni di studi in nutrizione funzionale, nutrigenetica e cronobiologia.
L'incontro e la sintesi di questi tre importanti settori della nutrizione e della biologia, si fondono in BMS, in maniera estremamente efficace e pratica.
BMS vede la luce nel 2018 grazie alla stretta collaborazione tra il Dott. Bruni, nutrizionista ed il Dott. Renzi, esperto informatico.
Quella in menopausa è una donna che vive una grande trasformazione, spesso con sensibili difficoltà.
Nonostante l’età adulta, l’informazione abbondante e le attenzioni di un servizio sanitario che nel nostro Paese ha attivato molti utilissimi controlli per una decisiva opera di prevenzione, frequentemente troviamo una donna smarrita, che vive con disagio o apprensione o confusione il corpo che muta e che talvolta percepisce la menopausa come una sorta di limite e di epilogo.
La menopausa non è uno stato patologico ma, in effetti, una nuova fase della vita.
Una fase in cui si riducono la quota estrogenica e la velocità del metabolismo quindi abbiamo un rallentamento di tutte le funzioni cellulari, delle capacità cognitive e della memoria.
Purtroppo anche la donna più accorta a curarsi frequentemente trascura peraltro l’alimentazione ovvero sottovaluta l’esigenza di un cambiamento alimentare che vada appunto di pari passo al cambiamento ormonale. Continua per lo più a mangiare come quando era in età fertile, impegnando il fegato in modo importante: prima aveva gli estrogeni a sostenerla, non avendoli più costringe il fegato a un super lavoro.
In questo radicale cambiamento abbiamo anche un cambiamento della flora intestinale, con insorgenza di stipsi o con tendenza diarroica. Nel primo caso il primo organo da stimolare è proprio il fegato, nel secondo dobbiamo invece controllare gli aspetti pancreatici. La donna
Cos’altro è significativo considerare?
Che spesso in menopausa, in verità, non fa che trovare manifestazione ciò che era scritto nei fattori genetici della persona ed è rimasto latente per decenni.
Questo significa che la conoscenza di questi fattori ci aiuta a interpretare in maniera precisa condizioni e disturbi della donna.
Un quadro genetico e anamnestico approfondito offre al BMS (Sistema Metabolico Bruni) tutte le informazioni per un corretto e adeguato approccio nutrizionale integrato, laddove necessario, da nutraceutici e fitoterapici.
La donna in menopausa deve in effetti adottare cambiamenti strategici che seguono le esigenze del suo organismo e garantiscono la sua salute semplicemente con le giuste nuove abitudini.
Pensiamo innanzi tutto al fatto che la riduzione degli estrogeni fa aumentare lo stress ossidativo che, se non è controllato da nutrienti e nutraceutici, porta a un peggioramento dei fenomeni stessi della menopausa, aumenta il rischio cardio-vascolare e di pari passo provoca un peggioramento degli aspetti cognitivi.
Un intervento di sostegno terapeutico efficace richiede sempre un approccio mirato e personalizzato. Possiamo però sintetizzare alcuni elementi utili e di grande rilievo per comprendere l’ispirazione e l’approccio di fondo del BMS:
-Alimenti prevalentemente integrali per ridurre il carico glicemico, per garantire un corretto assorbimento dei minerali e per fornire costantemente quella quota di fibre in grado di migliorare la qualità del suo microbiota.
-Presenza costante di alimenti ricchi di folati (contenuti in verdure a foglia verde, legumi, cavoli, arance, orzo) importanti perché agenti riparatori del DNA e indispensabili per tenere sotto controllo i valori di omocisteina.
-Alimenti ricchi di fitoestrogeni come salvia, soia, cavolfiore, mango, papaia, orzo, legumi, nocciole. Un piccolo e sistematico apporto nella dieta di una donna in menopausa aiuta a mitigare tutti quei disturbi che la riduzione degli estrogeni ha portato con sé.
-I semi di lino che sono una ricca fonte di acido grasso omega-3, acido alfa linolenico e altri composti che forniscono bioattività di valore per la salute attraverso la loro azione anti-infiammatoria, capacità anti-ossidativa e proprietà modulanti dei lipidi.
-La presenza del pesce, in particolare, sardine, sgombro, salmone, tonno, risulterà importante per garantire una quota di omega 3 che assicurerà un miglior profilo lipidico ed un costante effetto antinfiammatorio.
-La quota di calcio (latte intero, yogurt intero, ricotta) importante per ridurre il rischio di osteoporosi (sempre che la donna non sia intollerante al lattosio, nel qual caso rallenterebbe l’assorbimento di calcio e vitamina D).
-La quota proteica quotidiana che, accompagnata da un’attività fisica regolare, è essenziale per il mantenimento del tono muscolare.
-Le proteine della soia efficaci per la riduzione dello stress ossidativo (non è viceversa evidenziata dagli studi clinici l’efficacia del latte di soia). Riduce parimenti lo stress anche l’olio d’oliva.
Sebbene l’apporto di sodio nella donna in menopausa debba essere attentamente controllato con l’introduzione di combinazioni alimentari adeguate, per l’ipertensione il test genetico ci aiuta a non introdurre tout court la riduzione del sodio in quanto potrebbe rivelarci un’origine diversa qualora riscontrassimo un metabolismo ridotto della caffeina.
Un vero occhio di riguardo bisogna poi riservarlo a tutti gli aspetti più propriamente psicologici. L’argomento merita ulteriori approfondimenti quindi dedicherò sicuramente altri post.
Scrivi commento (0 Commenti)Ritorno a parlare di intestino permeabile o “gocciolante” perché è una condizione molto severa che richiede interventi importanti e urgenti. Ci permette peraltro di mantenere il focus sulla rilevanza di una corretta funzionalità intestinale e nello stesso tempo di insistere sulla rilevanza della sinergia tra test genetico, anamnesi e analisi della zonulina.
La sindrome da alterata permeabilità intestinale è la situazione generata da un intestino che ha una ridotta capacità di fungere da barriera a cibo, batteri, allergeni, funghi, ragione per cui molecole che non dovrebbero essere assorbite dall’organismo entrano invece in circolo causando danni e disturbi sensibilmente significativi.
Quando infatti abbiamo una disbiosi intestinale, quindi una qualità e diversificazione scarsa della nostra flora batterica, si innescano nell’intestino fenomeni putrefattivi e infiammatori che, se trascurati per lungo tempo, facilmente finiscono per alterare la membrana intestinale. Quella della permeabilità a quel punto è una condizione severa, come dicevo al principio, perché intacca non solo la salute dell’organo ma si propaga: l’infiammazione, da locale, diventa sistemica. Ciò, accanto a morbo di Crohn, retto-colite ulcerosa e altre patologie intestinali, può essere l’origine di malattie a carattere immunitario, infezioni delle vie respiratorie, prostatiti, cistiti e candidosi, malattie dismetaboliche, disturbi dell’umore.
Per individuare l’origine è fondamentale la connessione tra fattori genetici (che costituiscono il tempo 0 del paziente) e altri elementi scatenanti che si sviluppano nel corso della vita quali errate scelte alimentari, elementi stressogeni, chemioterapia (che rappresentano il tempo X del paziente). In effetti se alla predisposizione genetica a fattori pro-infiammatori si aggiungono abitudini alimentari o di igiene quotidiana errate, la situazione si aggrava.
Oggi abbiamo anche una preziosa analisi di supporto fondamentale, quella della zonulina, un marker che ci permette di valutare con precisione se l’intestino lascia passare nei tessuti e nel sangue molecole che non dovrebbero essere assorbite dall’organismo o svolge efficacemente la funzione di barriera.
Una volta accertata, è possibile affrontare la sindrome con l’azione mirata potente di nutrizione e integrazione nutraceutica.
In tal senso, il primo apporto idoneo a dare risultare notevoli, per sostenere la ricostruzione della barriera, è dato dalla glutammina, associata a omega 3, lattoferrina, vitamina D e probiotici specifici.
Parallelamente, sul fronte alimentare, si agisce con una sospensione del consumo di glutine, legumi e solanacee (anche di alimenti contenenti nichel e lattosio nel caso di pazienti intolleranti), bandendo l’alcool e introducendo più alimenti crudi o poco cotti. Questo tipo di approccio nutrizionale da un lato elimina ciò che può peggiorare la situazione infiammatoria, dall’altro evita le molecole tossiche generare dalla cottura e favorisce il benefico effetto di antiossidanti.
Si rivela inoltre molto utile, nel paziente affetto da sindrome dell’intestino permeabile o “leaky gut”, una riduzione della finestra alimentare che in BMS (Sistema Metabolico Bruni) si pratica per consentire all’organismo un maggior tempo per espletare gli indispensabili processi depurativi: questo vuol dire che si suggerisce al paziente di assumere l’alimentazione quotidiana entro un arco di 10 ore lasciandone 14 al “riposo” e alla detossificazione.
Sostanzialmente la zonulina ci rivela uno stato di allarme, quello della permeabilità, e la permeabilità non è che l’effetto, il risultato ultimo, di una storia. La storia di quel paziente, fatta di tempo 0 e tempo X, che dobbiamo specificamente studiare e valutare per un approccio adeguato. Proprio perché si tratta di una sindrome trasversale, che spesso sfugge ai controlli e nello stesso tempo si riverbera negativamente sulla salute complessiva, deve ricevere un’attenzione profonda e stringente.
Scrivi commento (0 Commenti)La diagnosi di sindrome di Gilbert non desta di solito grandi allarmi né è seguita da specifici trattamenti terapeutici. Origina da una mutazione del gene UGT1 A1 che codifica l’enzima coinvolto nel metabolismo della bilirubina. Viene quindi considerata un difetto genetico per il quale non sono applicabili adeguati interventi.
Specie quando la sintomatologia non è forte e chiara, la sindrome di Gilbert è in effetti spesso scoperta casualmente, in occasione di esami di routine o di altri controlli.
Non è propriamente caratterizzata da iperbilirubinemia ma la ridotta capacità del fegato di metabolizzarla porta di riflesso un lieve aumento della bilirubina, in particolare quella non coniugata (non solubile). Solo quando il valore della bilirubina è molto alto, possiamo arrivare all’ittero, al colorito giallo della sclera o del derma. Di solito però non ha manifestazioni così violente ed ecco perché, appunto, la sindrome di Gilbert frequentemente non viene affrontata e gestita con terapie.
In pratica però le ricadute della sindrome di Gilbert sulla salute sono pesanti:
-stanchezza anomala, non giustificata dal lavoro e dall’impegno fisico del paziente;
-difficoltà mnemonica e di concentrazione.
Sostanzialmente ci troviamo di fronte a una difficoltà dell’epatocita del fegato di gestire con efficienza l’eliminazione di questo pigmento (la bilirubina, per chiarezza, è un pigmento biliare di colore giallo-arancione, un metabolita di rifiuto derivante dal catabolismo dei globuli rossi invecchiati).
Questa difficoltà di eliminazione del pigmento comporta un “ingorgo metabolico”, quasi una lieve stagnazione, che peggiora indirettamente la risposta insulinica quindi possiamo riscontrare nel paziente una resistenza insulinica.
Questo quadro di disturbi e disagi, non concretizzandosi tipicamente in manifestazioni di grossa gravità, finiscono per essere subiti come normalità dal paziente che di fatto si abitua a convivere con un senso di letargia, di spossatezza costante, di difficoltà energetica. Non sa come gestirli e li trascina magari per anni con uno stress psico-fisico non irrilevante che talvolta può sfociare in problematiche psicologiche e in patologie psichiatriche.
Proprio per queste ragioni, secondo il BMS (Sistema Metabolico Bruni), è assolutamente necessario un approccio molto empatico al paziente. È un paziente che risente tantissimo dei fattori stressogeni, delle temperature estreme, dei digiuni, delle diete severe. Ne risente perché in queste condizioni peggiora il rapporto tra bilirubina coniugata e non coniugata. Questo significa che il paziente va incontro a uno stato di maggior stanchezza e fatica a far fronte alle situazioni difficili. Ai problemi metabolici si sommano insomma quelli psicologici.
Per questo è essenziale che il paziente abbia quanta più possibile consapevolezza della sindrome e delle sue conseguenze in modo che possa essere collaborante e imparare a curare la sua alimentazione e la qualità della sua vita.
Il paziente con sindrome di Gilbert si giova di una condizione cronobiologica piuttosto rigorosa con un’attenzione ben mirata ai nutrienti e alle combinazioni alimentari.
La cena deve prevedere una quota di carboidrati a lento rilascio (pasta, riso integrale o altri cereali) che permettono il sostentamento nelle ore notturne e una quantità abbondante di verdure diuretiche (finocchi, cetrioli, ravanelli, porri, valeriana,…) perché l’associazione carboidrati + queste verdure stimola il drenaggio dei liquidi in eccesso (che, visto il motore lento della lieve stagnazione, è molto importante).
Nel primo step nutrizionale a pranzo è prevista una quota proteica che presenta una discreta quota di lipidi insaturi ma povera di lipidi saturi (sono vietati infatti i formaggi) con contorni che favoriscono uno stimolo neurologico adeguato al paziente (fibre che stimolano la funzione biliare così favoriamo l’eliminazione della bilirubina coniugata e, allo stesso tempo, sosteniamo lo stato di vigilanza del paziente).
L’equilibrio del pranzo è sottile e delicato, anche perché si affaccia al pomeriggio lavorativo e dell’attività ordinaria: l’affetto da sindrome di Gilbert, attenendosi alle indicazioni sui giusti nutrienti, deve consumarlo lentamente e con tranquillità.
La colazione adeguata è composta da frutta fresca, pane tostato con burro o olio e marmellata o miele.
I frutti da privilegiare a colazione sono l’ananas -che è un fluidificante e facilita i processi digestivi- e le fragole -che contengono una quota di acido salicilico fondamentale per favorire la fluidificazione ematica: il paziente con Gilbert ha una coagulabilità molto alta, per ciò è bene fluidificare il sangue.
Quanto al miele preciso che con il pane darebbe un picco glicemico troppo alto, motivo per cui in BMS si associa a burro o olio che ne rallentano l’assorbimento.
In sintesi la sindrome di Gilbert ci fa apprezzare, con peculiare evidenza: l’approccio a 360° al paziente e la potenza degli alimenti.
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